Mircea Cărtărescu: Solenoide

Il reale è irrazionale nei libri di Mircea Cărtărescu. È un prolungamento dell’onirico, non doppio incarnato di un mondo sovrasensibile, ma saldatura ingannevole di tutto ciò che è esistente. Solenoide (Il Saggiatore, traduzione di Bruno Mazzoni) non rifugge questi elementi ma ne viene abitato in suo anfratto, muovendosi su quel terreno che era già apparso nella trilogia di Abbacinante, recuperandone il lirismo, ma offrendo al lettore una mano più calda, più rassicurante. L’abitare è elemento chiave del romanzo, l’abitare i luoghi dello scritto è parte viva della sua genesi, Bucarest in ogni suo elemento, in ogni suo angolo risucchia il lettore per le sue vie nate morte. Viene delineata da Cărtărescu come la città più triste del mondo, ogni suo spicchio è decaduto e decadente, in una dilatazione del tempo infinita, corrosiva, di un tempo che mangia gli intonaci, divora pareti, demolisce palazzi e ne costruisce altri destinati a sorgere già devastati. Le lunghe camminate per i vicoli ricolmi di detriti, calce, immondizia accompagnano il protagonista sino alla propria abitazione, ad una casa sogno a forma di nave, una casa dalle stanze infinite, che scompaiono e ricompaiono sempre nuove, sconosciute e inconoscibili. Una casa sorta sulla spirale elettromagnetica che dà il titolo al romanzo, una casa dove gli amplessi si trasformano in scene tarkovskiane, abbracci fluttuanti, feroci rapporti sospesi nell’incanto della fisica e del sogno, una casa collegata ad una rete neurale fagocitante dolore, dove gli elementi del reale svaniscono al contatto con pavimenti, lenzuola, lucchetti, sedie dentistiche, una casa che contiene Bucarest nella sua totalità, dentro mura contenenti il destino delle nostre proiezioni, mura contenenti la storia dei nostri cervelli in stand-by. Quando non è a casa, quando non è tra le braccia di Irina, il protagonista di Solenoide è uno scrittore fallito, umiliato dal suo sbaglio, dalla sua ambizione tradita, è un insegnante di rumeno con un matrimonio fallito alle spalle in una scuola dove si svolge l’interezza della sua esistenza, una scuola che gli ha dato la sua Irina, anche lei insegnante, una scuola dove l’umiliazione ricevuta dal sua primo manoscritto si ripete quotidianamente da parte dei bambini troppo grandi in una Bucarest troppo spietata per poter dare retta alle poesie consigliate da un uomo morto di dolore. Solenoide è un viaggio nella mente disincarnata del protagonista, una fusione di mondi, un libro sulla morte e contro la morte, un libro che vede la morte e il sesso abbracciarsi ripetutamente, sfiorando l’eccitazione necrofila di corpi impiccati, sussultando all’idea delle impiccagioni reiterate, controllate, un libro che si esalta con il potere dei vivi sui morti e con quello degli immortali sui vivi, un libro rituale che vede nella realizzazione dei culti il trionfo dell’umanità sull’abbandono. La morte mette al centro i corpi che si muovono all’interno del romanzo come marionette impazzite, sono corpi temporalizzati che aprono alla quarta dimensione, che sfondano il presente per abitare il ricordo. Sono denti da latte conservati gelosamente, sono corpi animali e animaleschi, corpi che cercano la propria unicità, corpi che per capirsi devono gettarsi nella metamorfosi sino ad arrivare alle zampe strappate degli acari in un lungo eco kafkiano. Sono corpi che nel loro tempo devono cogliere la loro dimensione, fetale, infantile, adolescenziale, adulta. Sono corpi che subiscono il salto di specie dal loro essere corpi di bambino all’essere corpi di adulto, mondi incomunicabili di sogni interrotti. La dimensione del bambino emerge come dimensione del dubbio, Solenoide non è un libro morale ma è un libro etico, un libro che mette davanti la scelta dell’arte e della vita e sceglie la vita, un libro che crea un mondo demoniaco, ma che vede la salvezza nella fuga dell’amore, perché per Cărtărescu questo non è ancora l’inferno.

Abitato da un linguaggio fatto di carne,sangue, e spirito il romanzo di Cărtărescu si muove su un registro ibrido, una dimensione totale dalla quale si affacciano aspetti biblici, elementi fondamentali della cultura romena ed una spiccata scientificità della terminologia. Solenoide è un romanzo fortemente biologico, animalizzato sino all’entomologia, medicalizzato sino a rendere i capitoli viaggi dentro corsie ospedaliere, sino a liberare il corpo dalla sua anima, dalla sua libertà, dalla sua possibilità di sognare, riducendolo a carne per aghi, ad esofagi fatti per ingoiare medicamenti, a narici riempite dagli odori farmacologici. Ma allo stesso tempo laddove il corpo si fa strumento di misurazione, Cărtărescu inserisce l’elemento del diario onirico, una contrapposizione totale, la dispersione della carne nella mente, nel sogno completo, un racconto di mostri, di esseri, di sensazioni, di strumenti di accesso al reale eccedenti gli organi di senso.

Solenoide segue la forma spiraleggiante del suo oggetto chiave riportando il lettore su più piani e liberandolo dai limiti che il corpo gli impone generando un viaggio crudele, ma vitale, mostruoso ma santificato, un viaggio che nel suo finale arriva a sradicare qualunque cosa lasciando però la speranza della salvezza.

La salvezza che chiede pietà alla vita.

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